Per secoli larga parte del prodotto di canapa venne esportata all’estero oppure in altri stati italiani. Il rimanente era oggetto, a Bologna o nei centri minori del contado, di quattro diverse lavorazioni: gargioleria, filatura, tessitura e corderia, che impegnavano migliaia di artigiani, lavoratori a domicilio, operai di manifatture.
La prima operazione di trasformazione della fibra era la pettinatura eseguita presso la famiglia contadina da artigiani ambulanti, i gargiolai. Rinomati erano quelli provenienti da Budrio e Pieve di Cento. I gargiolai lavoravano secondo le richieste della famiglia, ottenendo, con i passaggi della fibra greggia nei diversi tipi di pettine, tipi di fibra diversa per lunghezza, sottigliezza, elasticità e aspetto.
La filatura domestica consisteva nella formazione di fili continui derivanti dallo stiramento e dalla torcitura delle fibre. La data tradizionale per l’inizio della filatura era il giorno di Santa Caterina, il 25 novembre. Così le donne dei contadini nei mesi invernali, il più delle volte nelle stalle, filavano il gargiolo e la stoppa per i bisogni della famiglia. Piccole quantità di filato di stoppa potevano essere venduti sui mercati locali per la produzione di tele da sacchi e da imballaggi. Per secoli nelle campagne bolognesi si filava la canapa con la rocca e con il fuso. La rocca incappucciata dalle filatrici con una certa quantità di fibra, era trattenuta da un nastro all’altezza della spalla e infilata nella cintura in modo da lasciare le mani libere per tirare e torcere le fibre. Con una mano le filatrici tiravano il filo dalla rocca, con l’altra, facendo ruotare il fuso tra il pollice e l’indice, provocavano la torsione e l’avvolgimento del filo. Il fuso a ruota azionato a mano e il filatoio a pedale modificava solo in parte e molto lentamente i procedimenti di filatura. Nel bolognese il filatoio a pedale si diffuse a partire dal XVIII secolo. Ma fino alla prima guerra mondiale restò dominante nelle campagne la filatura con la rocca e il fuso.
Dalle matasse il filo imbiancato veniva trasferito con l’arcolaio e l’incannatoio, su rocchetti grandi per l’orditura e su rocchetti piccoli montati in seguito nella navetta per la trama. Dai fusi o dai rocchetti dei filatoi il filo veniva raccolto in matasse mediante l’aspo -mulinello. A questa operazione seguiva l’imbiancatura con la cenere. L’ordituraera l’ultima operazione prima della tessitura. Con i fili avvolti su numerosi rocchetti occorreva formare una unica serie di fili paralleli – ordito – e disporla sul telaio secondo schemi stabili in funzione del tessuto che si intendeva produrre.
La tessitura era l’intreccio dell’ordito con un filo continuo e perpendicolare - trama. Sul finire dell’inverno si tesseva il filato per farne biancheria e vestiario o per il consumo della famiglia o per il corredo delle figlie.
Le donne tessevano con il telaio che ogni famiglia di mezzadri possedeva. Verso la fine del XIX secolo si contavano in provincia di Bologna circa 12.000 telai. Nella forma più elementare il telaio era organizzato con due sistemi di piccoli nodi – licci – attraverso i quali passavano i fili dell’ordito. Uno raccoglieva la serie dei fili pari, l’altro la serie dei fili dispari. La tessitrice, esercitando una pressione sui pedali del telaio, alzava e abbassava, alternativamente, distanziandole, le due serie di fili. Nel varco che si apriva veniva ogni volta lanciata la navetta.