In primavera gli alberi e le viti venivano piantati in fosse scavate durante l’autunno (fèr la fòsa) utilizzando vanghe, picconi e badili:per tracciare la linea di scavo veniva srotolato un filo con l’ausilio di un aspo (naspa, fil). Gli alberi, generalmente olmi di almeno tre anni, venivano piantati a distanza di una pertica bolognese – circa 3.80 metri – l’uno dall’altro; in questo spazio si interravano con una gruccia (truvèla) due o quattro tralci di vite (taiól). La piantata veniva vangata in maggio e zappata in agosto per più anni. Il terzo anno si recidevano le viti e il quarto si propagginavano i nuovi tralci sollevati e condotti ai due rami principali degli alberi potati a forma di una Y (cavàz). Tra l’ottavo e il decimo anno, quando le viti cominciavano a dar frutto e gli olmi qualche prodotto di legna, si stendevano lateralmente i tralci (bindèna, tirèla) dalla biforcazione di un albero ai tronchi dei due alberi vicini, disponendoli parallelamente al suolo (a pèr) o a losanghe (a mandla).
Formati i filari, tra l’autunno e l’inizio della primavera, gli uomini della famiglia eseguivano potature biennali o annuali con l’aiuto di lunghe scale diritte (schèla drétta) e di attrezzi come il roncolo (runcatta), la roncola (rònca), il potatoio (falzòn), il gattuccio (ranzinèla) e, più tardi, le forbici a molla (fórbs da vid).
Il legname prodotto, riunito in fascine (fas ed cavàz, fas ed vid), diviso a metà con il proprietario, era impiegato per il riscaldamento e la cottura del pane e dei cibi. La parte restante era commercializzata. A vent’anni circa dall’impianto del filare, si iniziava la sfogliatura annuale degli alberi (fèr la fóia). Nelle ultime settimane dell’estate le donne (sfuiaróli) raccoglievano foglia per nutrire il bestiame del podere.
A partire dalla metà dell’Ottocento, per combattere la peronospora, un fungo parassita, le viti venivano irrorate, per mezzo di pompe – a zaino (pòmpa a spala), a carriola – caricate su carri e birocci, con una soluzione di solfato di rame (vairdràm), acqua e calce bianca. Per proteggere i grappoli dall’oidio o mal bianco si utilizzava invece la polvere di zolfo (sòulfna), distribuita con un soffietto (supiàtt) sulle piante umide.