Una volta pigiata, l’uva destinata all’uso domestico veniva trasportata in cantina (canténna) e travasata nei tini (tinàz) preparati in precedenza dal cantiniere in modo da assicurarne la tenuta stagna. Ogni tino veniva riempito fino a un palmo dall’orlo, per consentire l’aumento di volume del liquido e il mosto era lasciato a fermentare (bóier) dai 5 ai 12 giorni. Conclusa questa fase, si inseriva nella spina del tino la cannella (canèla) e si procedeva alla svinatura: il liquido finiva nelle bigonce con cui lo si travasava nelle botti attraverso una pevera (salvavènna), o nelle damigiane (zucòn, damigèna) attraverso imbuti di metallo (buvinèl, buinèl). Poiché il processo di fermentazione continuava, entrambi i contenitori erano chiusi provvisoriamente con una ciotola di terracotta o legno(cucòn), barattoli forati o carta ripiegata a cono. Sulle vinacce (vinazi) rimaste in fondo al tino, veniva versata acqua per ottenere i “secondi vini”: il mezzovino (mèz vén) e il tarzanèl; oppure esse venivano estratte dal tino e spremute con il torchio (tórc’) per ottenere la turciadùra, bevanda aspra e ricca di tannino.