Le valli da pesca e da canna

Le valli da pesca e da canna

Nell’italiano locale e nel dialetto della pianura, il termine “valle” (val) è stato per secoli sinonimo di palude: erano estesi bassifondi nei quali le acque di scolo dei terreni dell’alta pianura ristagnavano a lungo per l’assenza di uno sbocco naturale nel Reno. Queste aree furono quasi tutte prosciugate meccanicamente e messe a coltura nel corso del Novecento e solo di recente sono state restituite, in alcuni casi, alla condizione di un tempo.

 

Nelle valli si trovavano piante e animali caratteristici delle zone umide che offrivano agli abitanti una serie di risorse utili alla loro sopravvivenza. Pesci, rane e uccelli erano oggetto di varie forme di pesca e di caccia. La vegetazione palustre di canne (cana, canèla), paviere (pavira, paviròn), giunchi (zongh, busmaról), quadrelli (quadrèl) forniva la materia prima necessaria per la produzione di stuoie, cannicci (arèla) e scope e per l’impagliatura di sedie e fiaschi. Contribuiva inoltre al fabbisogno di strame da lettiera e di foraggi per il bestiame.