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La canapa di Bologna e il lavoro dei contadini

foto Pezzoli

Presso il MUSEO DELLA STORIA DI BOLOGNA

Bologna, Palazzo Pepoli (via Castiglione 8)



Per secoli la coltivazione, il commercio e la manifattura della canapa sono stati uno dei pilastri dell'economia di Bologna e del suo territorio.

Avviata su larga scala nella seconda metà del Quattrocento nel suburbio cittadino e nel territorio di alcuni centri minori del contado - Budrio, Cento e Pieve di Cento - e diffusa in seguito in quasi tutta la pianura, la coltura della pianta tessile ha occupato sino alla metà del Novecento un posto centrale nel sistema agrario, nei bilanci familiari e nei rapporti tra i proprietari e i lavoratori della terra delle campagne bolognesi.

Nello stesso arco di tempo la materia prima prodotta nel contado ha alimentato in città l'attività di imprenditori, artigiani e operai dei settori della pettinatura, della filatura e della tessitura e quella di un intraprendente ceto di mercanti impegnati nella commercializzazione a lunga distanza - su piazze come quelle di Venezia, di Amsterdam e di Londra - di semilavorati, di prodotti finiti e, soprattutto di fibra greggia, una fibra unanimemente considerata di qualità superiore.

E' alla prima parte - quella rurale ed agricola - di questa filiera che si riferiscono le fotografie scattate tra il 1903 e il 1911 - quando la parabola storica della canapa di Bologna era ormai in fase discendente - da Antonio Pezzoli (1870-1943) e da Filippo Marchignoli (1842-1913). Fotografi per diletto entrambi, commerciante di canapa e pioniere della bicicletta il primo, titolare di una affermata distilleria il secondo. Le loro foto (A. Pezzoli, 1-32, F. Marchignoli, 32-36) documentano con sapienza le fasi della coltivazione della pianta, della estrazione della fibra e della sua trasformazione - artigianale o domestica - in corde e tessuti per il fabbisogno familiare. Nel farlo, anche se celano il verde cupo della canapa, ci offrono scorci di un paesaggio agrario periodicamente animato da forme di plastica effimera; ma soprattutto ci restituiscono i gesti e, in alcuni casi, i volti, asciutti e orgogliosi, degli uomini e delle donne del mondo contadino che abbiamo perduto.