Dalle vacche all’industria del latte

Dalle vacche all’industria del latte

L’allevamento del bestiame bovino, sino ai primi decenni del Novecento tutto di razza romagnola, era finalizzato alla produzione di buoni animali da lavoro e da carne. Ogni anno le vacche, fatte accoppiare in maggio o giugno, potevano riposare negli ultimi mesi di gravidanza – quelli invernali – e partorire verso l’inizio della primavera. Il vitello (vidèl), a pochi giorni dalla nascita, era separato dalla madre (vaca), ma le era riportato due o tre volte al giorno in occasione delle poppate. Raggiunto il peso di 75 kg, poteva essere venduto al macellaio, ma la maggior parte dei vitelli veniva allevata per sostituire i buoi e le vacche della stalla o per essere venduta all’età di circa due anni. I vitelli allevati per farne dei buoi venivano svezzati tra i due e i quattro mesi di età e molti agricoltori, da questo momento in poi, non mungevano più le vacche, utilizzate per il lavoro piuttosto che per la produzione di latte. Nel suburbio alcuni contadini se ne servivano anche per la produzione di latte scottato. Gli animali venivano munti alla sera e il latte, raccolto in recipienti di terracotta, veniva riscaldato a fuoco lento. La panna formatasi era impiegata per farne burro (butìr), il latte scremato veniva portato in città all’interno di fiaschi di vetro impagliati e venduto a domicilio o al mercato nei negozi dei fruttivendoli o nelle rivendite specializzate.

 

La sostituzione dei trattori ai buoi e alle vacche nel tiro dei carri e degli aratri, e i cambiamenti intervenuti nella dieta urbana e rurale, furono alla base dello sviluppo di un allevamento bovino finalizzato alla produzione di latte. Nel 1915 si contavano nella provincia 30 trattori; nel 1949, 1700; negli anni ‘70, circa 20.000. In parallelo diminuiva, sino ad azzerarsi, il numero dei buoi e cresceva quello delle vacche; di razze diverse da quella tradizionale e specializzate nella produzione di latte. Erano numerose ormai negli anni ‘50, soprattutto nei comuni intorno alla città, le stalle dei poderi in cui trovavano posto sino a 20-30 vacche da latte. Furono nuclei di contadini – mezzadri, affittuari o coltivatori diretti – di poderi come questi, che si resero protagonisti, tra il 1957-58 e il 1969-70, della costituzione delle cooperative “Consorzio bolognese produttori latte” e “Felsinea latte”.

Partecipi delle organizzazioni e delle lotte del movimento contadino e cooperativo e con l’obiettivo di valorizzare il loro latte e assicurare ai consumatori un prodotto di qualità, essi avviarono nella pianura bolognese l’esperienza di una delle maggiori industrie lattiero-casearie a proprietà cooperativa del nostro paese.