La raccolta

prella

Il momento della raccolta della canapa veniva individuata tradizionalmente dopo la terza rugiada del mese di agosto (al trai guaz d agòst) ma a seconda dell’andamento climatico poteva essere posticipata o anticipata a fine luglio per cogliere il momento opportuno, ossia quando, scuotendo le piante maschili, si poteva far cadere il polline. Il contadino tagliava gli steli con il falcetto recidendoli alla base per poi ordinarli sul campo in “mannelli” incrociati ad X. Attorno al 1930-35 incominciò a diffondersi la falciatura meccanica. Gli steli una volta essiccati, venivano battuti per terra in modo da far cadere le foglie e, successivamente, venivano raccolti in fasci conici del diametro di 2 metri (prélla).

Dopo alcuni giorni la prélla veniva disposta su un cavalletto di legno (biancale), gli steli selezionati e uniti in diversi mannelli a seconda della lunghezza.

La macerazione era il processo che consentiva di neutralizzare l’azione delle sostanze collanti che trattenevano la fibra tessile (tiglio) intorno allo stelo legnoso (canapulo). La canapa veniva posta a macerare in acqua stagnante raccolta nei maceri già da diversi mesi.
Nel macero – nella pianura bolognese una fossa rettangolare lunga da 15-20 m a 100 metri, larga da 10 a 15 metri e profonda circa 2 – con i fasci di canapa si formavano delle zattere - postoni - che si affondavano caricandole di sassi. L’immersione durava circa otto giorni. Verificata la conclusione del processo di macerazione, iniziava una delle fasi più faticose e difficili: i fasci, riportati a galla spostando le stanghe o rimuovendo i sassi con cui erano tenuti immersi, venivano trascinati ad uno dei bordi del macero e slegati. I mannelli lavati ripetutamente con forza, venivano portati a braccia a sgocciolare sul prato del macero. Successivamente la canapa, caricata sui carri, veniva trasportata nei campi a maggese e nelle cavedagne ad asciugare.

 

 
La raccolta

La famiglia contadina usava i maceri anche per risciacquare la tela tessuta o il bucato, per l’allevamento delle anatre e di carpe e tinche che limitavano la proliferazione delle zanzare e integravano l’alimentazione contadina, come i ranocchi che popolavano le sponde dei maceri. Nella stagione calda gli uomini vi si lavavano e i ragazzi

imparavano a nuotare, spesso con l’ausilio di zucche vuote che fungevano da galleggianti.

Dopo la prima guerra mondiale si diffuse l’impiego dell’ilza(treggia), per portare la canapa dal macero al prato con notevole risparmio di lavoro e fatica.

La decanapulazione era l’ultima delle fasi di lavorazione che il contratto di mezzadria assegnava ai contadini e che comprendeva diverse fasi, la scavezzatura (che consisteva in una prima grossolana frantumazione dello stelo) e la gramolatura (che corrispondeva ad un secondo e più accurato rompimento). Per queste operazioni, che richiedevano un elevato impiego di forza lavoro, la famiglia mezzadrile doveva ricorrere allo scambio delle opere (fer a zérla) e alla manodopera salariata.

Nel corso dell’Ottocento si diffuse nel Bolognese e nel Ferrarese la scavezzatrice a maneggio (scavzadòura), sperimentata nel 1840 a Corticella nella proprietà dei Conti Salina, che ridusse notevolmente l’impiego di manodopera e i tempi di lavorazione.

Al termine, la canapa greggia veniva immagazzinata in attesa che il proprietario la vendesse. A lui competeva la commercializzazione anche della parte colonica del prodotto. Nelle sue mani confluiva il più delle volte, a compenso dei debiti contratti dal mezzadro nel corso dell’anno, l’intero ricavato della vendita.