La mietitura

La mietitura

La mietitura avveniva tradizionalmente alla fine di giugno. Richiedeva velocità di esecuzione per evitare che un temporale o una grandinata rovinassero il raccolto.

Tutti i componenti della famiglia e, spesso, alcuni braccianti erano impegnati nella mietitura. Usavano la falce messoria (sagguel, siglénna) tagliando gli steli “a collo”, quando la trebbiatura avveniva a mano, o “a terra”, con la diffusione della trebbiatura meccanica. I mannelli (manvì), deposti sulle stoppie, erano lasciati sul terreno qualche giorno per completarne l’essiccamento. Con tre o quattro mannelli si formava il covone (), legato con corde di carice (pavira) o steli di canapa (canvèla). I covoni erano caricati con le forche sul carro e trasportati alla corte colonica dove venivano collocati sotto il portico della stalla o della “casella” o sistemati all’aperto in un mucchio detto bica (bèrch, cavaiòn).

 

Nei poderi mezzadrili la falce messoria restò lo strumento fondamentale della mietitura sino alla diffusione, nei decenni centrali del Novecento, di falciatrici a tiro animale (sgadòura). I fabbri di campagna vi applicavano uno speciale apparecchio (aparàcc’ da méder) in grado di radunare gli steli e rilasciarli sul terreno nella quantità necessaria a formare un covone. Lungo il percorso della falciatrice si trovavano i lavoratori che legavano e spostavano il covone. Sul sedile della macchina un bambino lasciava cadere (fèr l óca) su ogni covone lo stelo di canapa necessario alla legatura. Per consentire l’avviamento del lavoro della sgadòura, gli steli posti lungo il perimetro dei campi erano tagliati manualmente con la falce fienaia armata (fèr da sghèr còn l aparàcc’ da méder).